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Il non inserimento di un farmaco in fascia A è in contrasto con la libera concorrenza? La Sentenza del Consiglio di Stato

L’inserimento di un farmaco in fascia A può comportare potenziali vantaggi per le imprese i cui farmaci sono stati inseriti in fascia o, specularmente, svantaggi, nel caso in cui non lo siano. Nel caso di specie,  il diritto positivo – ove individuare l’interesse dell’industria – è rappresentato dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, la quale dispone che le specialità medicinali possono essere collocate in diverse “classi” (o fasce), limitando ai farmaci essenziali il regime di rimborsabilità, ma imponendo uno sconto obbligatorio sul prezzo dei farmaci rimborsati dal SSN, e ciò per garantire nella misura più ampia possibile il diritto alla salute mediante l’inserimento del maggior numero di farmaci essenziali nell’elenco di quelli rimborsabili dal SSN.

L’interesse dell’impresa farmaceutica non può essere quello della leale competizione in un mercato concorrenziale, ma è piuttosto quello di fruire di chance di extra guadagno connesse alla particolare regolazione del “mercato” dei farmaci di fascia A. Solo se gli interessi pubblici prevalenti risultino violati, l’interesse patrimoniale “riflesso” dell’impresa, a lucrare delle chance offerte dall’anomalo mercato creatosi, può considerarsi meritevole di protezione risarcitoria.


Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 30 novembre 2017, n. 5624

Presidente: Balucani – Estensore: Veltri

FATTO

1. Con ricorso al Tar Lazio, ALMIRALL s.p.a., titolare della specialità medicinale Almogran, basata sul principio attivo Almotriptan (AIC n. 034996), ha chiesto la condanna di AIFA al risarcimento del danno “in relazione alla fattispecie giudicata in via definitiva con Decreto del Presidente della Repubblica del 14 febbraio 2008, con il quale è stato accolto il relativo ricorso straordinario ex d.P.R. n. 1199/71 proposto dalla società Almirall S.p.A. e, per l’effetto, annullato il provvedimento AIFA 17 febbraio 2005, prot. n. XI11410/P, con il quale l’Agenzia aveva respinto l’istanza del 26 ottobre 2004 di ammissione al rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale delle specialità medicinali Almogran e Almotrex (entrambe in confezione da 6 compresse rivestite con film da 12,5 mg)”.

1.1. La ricorrente, ha fatto presente, a supporto del ricorso, che:

– tale richiesta di ammissione a rimborso (previo riclassificazione da fascia C a fascia A) era stata rigettata dall’AIFA con nota prot. IX11410/P del 17 febbraio 2005;

– che avverso detto provvedimento negativo aveva proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica;

– il gravame era stato accolto con il decreto del Presidente della Repubblica del 14 ottobre 2008;

– con determinazione AIFA del 4 marzo 2009 la confezione da n. 6 compresse del medicinale Almogran veniva infine riclassificata in Classe “A” al prezzo al pubblico di Euro 38,44;

– le sue richieste di richieste risarcitorie (note del 27 luglio 2009, 15-16 febbraio 2010 e 14 giugno 2013) erano rimaste disattese.

1.2. Su queste premesse Almirall ha chiesto al T.A.R. Lazio la condanna di AIFA al pagamento di Euro 10.306.730,00, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria per i danni asseritamente subiti nel periodo compreso tra il 17 febbraio 2005 ed il 21 marzo 2009, conseguente “alle vendite inferiori e alla perdita di quote di mercato rispetto a soggetti concorrenti che, invece, erano autorizzati a commercializzare analoghi medicinali ammessi al completo rimborso da parte del servizio sanitario nazionale” a causa della mancata riclassificazione del farmaco Almogran nella confezione da n. 6 compresse, dalla Classe “C” alla “A”.

2. T.A.R. Lazio ha accolto parzialmente il ricorso, ritenendo sussistente nella fattispecie:

– il nesso causale tra il danno ricavato ed il provvedimento di diniego, “sufficientemente dimostrato dalla rilevata illegittimità del provvedimento di diniego”;

– l’elemento soggettivo della “colpa”, rinvenuto “nell’alto livello di specializzazione che l’AIFA riveste per la sua posizione” e comunque nella violazione da parte dell’Agenzia, “del principio di libera concorrenza che comporta la necessità di non costituire, come è invece avvenuto nel caso in esame, rendite di posizione in favore dell’ammissione in fascia A di un unico farmaco da sei compresse prodotto da un’unica casa farmaceutica”;

– il danno risarcibile, che però il TAR ha ritenuto doversi quantificare secondo le modalità di cui all’art. 34, comma 4, c.p.a., ed in particolare:

a) “tenendo presente l’andamento delle vendite effettive delle sei compresse confezionate di Almogran/Almotrex risultanti dai dati sul consumo dei farmaci censiti dall’OsMed oppure dall’ATC – Mercato Italiano per il periodo secondo semestre 2009-2013 venduti sul territorio italiano oppure ancora in caso di carenza di tali dati utilizzando i dati risultanti dalle vendite effettive in Italia del farmaco da parte della ricorrente, l’AIFA dovrà calcolare un valore medio annuale a valere quale risarcimento del danno per l’intero periodo 2005-primo semestre 2009 e moltiplicarlo per il prezzo medio alla vendita per compressa;

b) l’ammontare così calcolato va ridotto del 50% allo scopo di tener conto del fattore rischio di impresa, che l’azienda è messa in condizione di valutare con scelta imprenditoriale”.

3. Avverso la sentenza ha proposto appello l’AIFA. A supporto del gravame il medesimo ha dedotto che:

3.1. Il Tar avrebbe totalmente ed erroneamente pretermesso l’esame dell’eccezione di difetto di interesse formulata dall’AIFA nel motivo sub 1. della parte “IN DIRITTO” della memoria difensiva. In essa AIFA aveva sostenuto che il quadro normativo vigente rende chiaro che ratio delle disposizioni disciplinanti l’inserimento di un farmaco in fascia “A” non è certo quella di favorire in qualche modo la vendita dei prodotti delle aziende farmaceutiche, ponendosi il solo ed esclusivo fine di garantire a tutti l’accesso a farmaci considerati “essenziali” per la tutela della salute facendosi carico del prezzo dei farmaci nell’interesse degli “indigenti” ai sensi dell’art. 32 Cost. Con la conseguenza che della scelta di non inserire – oltre alla confezione da tre compresse, già presente in fascia A, anche – la confezione da n. 6 compresse del farmaco Almogran nella classe “A” potrebbero in ipotesi lamentarsene solo ed esclusivamente i “cittadini” che eventualmente si fossero trovati a dover pagare il prezzo della confezione da n. 6, e non già l’azienda farmaceutica, la quale, ottenendo il risarcimento da mancata vendita, non farebbe che monetizzare, nell’egoistica prospettiva del profitto, il mancato “spreco” a danno dello Stato.

3.2. Diversamente da quanto statuito dal Tar, nella fattispecie difetterebbe sia l’ingiustizia del danno sia il nesso di causalità. In ordine alla prima il Tar fonderebbe tutto sull’erroneo convincimento che la mancata ammissione alla rimborsabilità della confezione da n. 6 compresse del farmaco in questione “costituisce una violazione del principio di libera concorrenza” dal momento che sul mercato esistono altri farmaci similari in confezioni da 6 compresse, rimborsati dal SSN. Per converso dovrebbe affermarsi – secondo l’appellante – il principio per il quale “il mercato dei farmaci inseriti in fascia A), rimborsati dal SSN, non può essere soggetto tout court alle regole della concorrenza, in quanto in esso confluiscono logiche di mediazione tra il diritto del cittadino a fruire di cure ottimali, la facoltà dello Stato di adottare misure economiche indirizzate al controllo della spesa farmaceutica, nonché l’obbligo ora imposto dalla Costituzione di garantire il pareggio di bilancio”.

Quanto al nesso di causalità la sentenza avrebbe omesso di considerare che rimborsabilità di un farmaco passa obbligatoriamente per due distinte fasi: una prima fase in cui, a seguito della domanda di rimborsabilità avanzata da un’Azienda, la Commissione Tecnico Scientifica (“CTS”) che è chiamata a verificare se il farmaco (nonché i singoli confezionamenti) presenti caratteristiche idonee a ritenerlo come “salva vita”. Una seconda e necessaria fase in cui si svolge una negoziazione sul prezzo tra il CPR dell’AIFA e l’Azienda titolare dell’AIC, dal cui esito, ai sensi del punto 6), della Delibera CIPE 1° febbraio 2001, n. 3, dipende l’effettiva rimborsabilità della specialità medicinale. Nel caso di specie, l’esito favorevole ad Amirall, del ricorso straordinario, non poteva – vertendo esso solamente su un provvedimento della CTS e non anche del CPR – imporre l’automatica “rimborsabilità” di tutte le confezioni da 6 compresse, e la rivalutazione non poteva che essere limitata ai soli aspetti tecnico scientifici di competenza, appunto, della CTS.

3.3. In via subordinata, l’appellante ha comunque dedotto l’erroneità dei parametri indicati nella sentenza per l’individuazione dell’ammontare dell’asserito danno, in particolare: a) nella parte in cui stabilisce che il danno debba essere parametrato al prezzo di vendita della confezione e non, come sarebbe logico, agli “utili” che l’Azienda avrebbe potuto ricavare dalla vendita del prodotto, di norma stimati nel 10% del fatturato; b) nella parte in cui, tra i parametri in base ai quali AIFA dovrebbe formulare una proposta risarcitoria, non indica alcun meccanismo di valutazione dell’effetto sostitutivo della confezione da 6 compresse rispetto a quella da 3; c) nella parte in cui ha ritenuto che il periodo di mancata commercializzazione del medicinale su cui valutare il danno, è pari a 54 mesi; d) laddove non tiene conto delle dinamiche di mercato dei prodotti farmaceutici.

4. Nel giudizio si è costituita Admiral. La medesima ha argomentatamente replicato a tutti i motivi di censura, difendendo le statuizioni di prime cure ed insistendo per la reiezione del gravame.

5. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 12 ottobre 2017.

DIRITTO

1. Prima di esaminare nello specifico le doglianze dell’amministrazione appellante, e le difese dell’azienda farmaceutica Admirall, il Collegio ritiene opportuno previamente chiarire alcuni profili peculiari dell’odierna fattispecie controversa.

1.1. Il farmaco del quale Admirall ha chiesto l’ammissione al rimborso è Almogran, un farmaco che è basato sul principio attivo Almotriptan e che è particolarmente indicato nel trattamento acuto della cefalea e dell’emicrania. Siffatto farmaco, commercializzato in forza della autorizzazione all’immissione in commercio – AIC n. 034996 – era già stato classificato in classe “A” e dunque considerato integralmente rimborsabile nella confezione da tre compresse.

1.2. Ciò che Admirall ha chiesto ad AIFA – e per il quale ha poi proposto ricorso straordinario, nonché l’odierna domanda risarcitoria – è l’inserimento in classe A anche del confezionamento da sei compresse.

1.3. All’esito del ricorso straordinario al Capo dello Stato, Admirall ha ottenuto l’ammissione a rimborso della confezione da sei, ad un prezzo esattamente doppio rispetto al costo della confezione da n. 3 compresse, e ciò nonostante il perdurante parere tecnico scientifico contrario della CTS (rimasto tale anche dopo la decisione del ricorso straordinario) che aveva ritenuto la confezione da sei “non essenziale” per il SSN, in quanto eccessiva rispetto al ciclo terapeutico per l’emicrania.

1.4. La determinazione AIFA di riclassificazione del confezionamento da sei in classe A (provvedimento che nella tesi di Admiral riconosce tardivamente l’originaria spettanza del “bene della vita”), reca fra i “visti” il parere (negativo) della CTS del 12-14 gennaio 2009 ed “il decreto del Presidente della Repubblica del 14 ottobre 2008” che ha accolto il ricorso della ditta Admirall conformemente al parere del Consiglio di Stato, il quale ha affermato che: “si ravvisa nell’atto impugnato il vizio di eccesso di potere per manifesta contraddittorietà e per incongruenza con analoghe scelte dell’amministrazione, l’effetto delle quali potrebbe porre a rischio il principio della libera concorrenza a vantaggio dell’impresa farmaceutica autorizzata a mettere in commercio con rimborso confezioni da sei compresse” (ndr il riferimento è alla confezione da sei del farmaco a base del principio attivo frovatriptan, commercializzato da Menarini s.r.l.). È chiaro come la diagnosi sin qui svolta non implichi alcun obbligo ad autorizzare la confezione da sei compresse per le specialità in esame, ma solo che sono necessari e dovuti ulteriori provvedimenti dell’amministrazione al fine di vagliare le eventuali incongruenze e, conseguentemente, di depennare tutte le specie di confezioni da sei per i farmaci in questione ovvero di autorizzarle per tutte le specialità sostanzialmente equivalenti”.

2. Ciò chiarito e puntualizzato può passarsi all’esame dei motivi d’appello.

2.1. Con il primo motivo AIFA reitera un’eccezione – della quale il TAR avrebbe erroneamente pretermesso l’esame – a mezzo della quale si sostiene che l’attribuzione della classe “A” non costituirebbe un meccanismo premiale creato per tutelare gli interessi lucrativi delle azienda farmaceutiche, bensì rappresenterebbe uno strumento attraverso il quale lo Stato garantisce le cure gratuite agli indigenti (art. 32 Cost.), facendosi carico del prezzo dei farmaci nell’interesse di questi ultimi. Ne discenderebbe che, della scelta di non inserire la confezione da n. 6 compresse – in aggiunta a quella da 3 compresse – del farmaco Almogran nella classe “A” potrebbero in ipotesi dolersi solo ed esclusivamente gli utenti del SSN, sui quali ricadrebbe il prezzo della confezione da n. 6 compresse del farmaco in questione, e non già l’impresa farmaceutica, che nell’ipotesi di risarcimento si vedrebbero inammissibilmente risarcito una sorta di diritto allo “spreco” di risorse del SSN.

2.2. Il motivo può essere esaminato unitamente al secondo, costituente parziale sviluppo del primo, nella parte in cui nega la sussistenza di un danno “ingiusto” per violazione del principio di libera concorrenza”, ritenendo che il mercato dei farmaci inseriti in fascia A), rimborsati dal SSN, non possa essere soggetto tout court alle regole della concorrenza, in quanto “in esso confluiscono logiche di mediazione tra il diritto del cittadino a fruire di cure ottimali, la facoltà dello Stato di adottare misure economiche indirizzate al controllo della spesa farmaceutica, nonché l’obbligo ora imposto dalla Costituzione di garantire il pareggio di bilancio”.

2.3. Adimiral replica sul punto, evidenziando che l’ammissione o meno al regime della rimborsabilità, oggettivamente determina – sul piano commerciale – l’andamento delle vendite di un prodotto farmaceutico, in guisa che l’errore dell’amministrazione che abbia determinato la mancata rimborsabilità per un determinato periodo, provocando pregiudizi patrimoniali sub specie di lucro cessante, non può non rilevare sul piano risarcitorio e sull’interesse a proporre la relativa azione in giudizio.

3. Ritiene il Collegio, che per dirimere la controversia debba partirsi dalla sentenza 500/1999 con la quale le Sezioni unite hanno definit[iv]amente sancito la risarcibilità dell’interesse legittimo, poiché in essa si rinvengono, ancora oggi, i presupposti ed i limiti della tutela risarcitoria del “bene della vita” protetto da tale peculiare posizione giuridica.

3.1. Le Sezioni unite hanno spiegato che “ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante”, avendo cura di sottolineare che “Quali siano gli interessi meritevoli di tutela non è possibile stabilirlo a priori: caratteristica del fatto illecito delineato dall’art. 2043 c.c., inteso nei sensi suindicati come norma primaria di protezione, è infatti la sua atipicità. Compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art. 2043 c.c., è quindi quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poiché solo la lesione di un interesse siffatto può dare luogo ad un “danno ingiusto”, ed a tanto provvederà istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell’interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell’interesse che il comportamento lesivo dell’autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell’interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell’autore della condotta, in ragione della sua prevalenza”.

Le Sezioni unite precisano che “Comparazione e valutazione… non sono rimesse alla discrezionalità del giudice, ma vanno condotte alla stregua del diritto positivo, al fine di accertare se, e con quale consistenza ed intensità, l’ordinamento assicura tutela all’interesse del danneggiato, con disposizioni specifiche (così risolvendo in radice il conflitto, come avviene nel caso di interesse protetto nella forma del diritto soggettivo, soprattutto quando si tratta di diritti costituzionalmente garantiti o di diritti della personalità), ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili (diversi dalla tutela risarcitoria), manifestando così una esigenza di protezione (nel qual caso la composizione del conflitto con il contrapposto interesse è affidata alla decisione del giudice, che dovrà stabilire se si è verificata una rottura del “giusto” equilibrio intersoggettivo, e provvedere a ristabilirlo mediante il risarcimento).

In particolare, nel caso di conflitto tra interesse individuale perseguito dal privato ed interesse ultraindividuale perseguito dalla P.A., la soluzione non è senz’altro determinata dalla diversa qualità dei contrapposti interessi, poiché la prevalenza dell’interesse ultraindividuale, con correlativo sacrificio di quello individuale, può verificarsi soltanto se l’azione amministrativa è conforme ai principi di legalità e di buona amministrazione, e non anche quando è contraria a tali principi (ed è contrassegnata, oltre che da illegittimità, anche dal dolo o dalla colpa…)”.

Da qui l’affermazione che “La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra nella fattispecie della responsabilità aquiliana solo ai fini della qualificazione del danno come ingiusto”.

Ciò non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli interessi legittimi come categoria generale.

Le stesse Sezioni unite, infatti, sono attente a definire i limiti del dirompente principio affermato, precisando che: “Potrà pervenirsi al risarcimento soltanto se l’attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. In altri termini, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria exart. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo”.

3.2. I principi suddetti continuano a costituire linee guida illuminanti, anche dopo la positivizzazione del principio avvenuta con l’art. 7 della l. n. 205 del 2000.

Nel caso di specie è pertanto necessario effettuare una comparazione e valutazione degli interessi in conflitto, alla stregua del diritto positivo, al fine di accertare se, e con quale consistenza ed intensità, l’ordinamento assicura tutela all’interesse dell’impresa farmaceutica, con disposizioni specifiche, ovvero comunque lo prenda in considerazione sotto altri profili (diversi dalla tutela risarcitoria), manifestando così una esigenza di protezione.

3.3. Il diritto positivo è nella specie rappresentato dall’art. 8, comma 10, della l. 24 dicembre 1993, n. 537, il quale dispone che le specialità medicinali possono essere collocate in diverse “classi” (o fasce).

In particolare, nella c.d. classe “A” sono inseriti i “farmaci essenziali e farmaci per malattie croniche”, mentre sono inseriti nella classe “C” gli “altri farmaci privi delle caratteristiche indicate alle lettere a) e b) ad eccezione dei farmaci non soggetti a ricetta con accesso alla pubblicità al pubblico”. Il successivo comma 14, del richiamato art. 8, della l. n. 537/1993, specifica che i farmaci di classe “A” “sono a totale carico del Servizio sanitario nazionale”, mentre “I farmaci collocati nella classe di cui al comma 10, lettere c) e c-bis), sono a totale carico dell’assistito”.

Al fine di assicurare l’assistenza farmaceutica, da parte del SSN, nella misura più ampia possibile consentita dalle disponibilità di bilancio, l’art. 48 del d.l. n. 269 del 2003 ha, poi, assegnato alla neo-istituita Agenzia del farmaco il compito di “provvedere, entro il 30 settembre di ogni anno, o semestralmente nel caso di sfondamenti del tetto di spesa di cui al comma 1, a redigere l’elenco dei farmaci rimborsabili dal SSN, sulla base dei criteri di costo ed efficacia, in modo da assicurare, su base annua, il rispetto dei livelli di spesa programmata nei vigenti documenti contabili di finanza pubblica” (comma 5, lett. c).

La legislazione, oltre che limitare ai farmaci essenziali il regime di rimborsabilità, giunge altresì ad imporre uno sconto obbligatorio sul prezzo dei farmaci rimborsati dal SSN (si veda in proposito l’art. 48, comma 5, lett. f), del d.l. n. 269 del 2003) che comporta la determinazione indiretta di un nuovo e minore prezzo, e ciò, “da un lato, al fine di contenimento della spesa farmaceutica, nel contesto di risorse date, e, dall’altro, di garanzia, nella misura più ampia possibile, del diritto alla salute mediante l’inserimento del maggior numero di farmaci essenziali nell’elenco di quelli rimborsabili dal SSN” (così Corte cost. 279/2006 cit.).

3.4. In attuazione di tale disposto normativo la deliberazione CIPE n. 3 del 1° febbraio 2001 ha delineato una sequenza procedimentale finalizzata all’inserimento di un farmaco della classe A, la quale si sviluppa essenzialmente in due fasi, entrambe indefettibili: una prima fase della quale è investita la Commissione Tecnico Scientifica (“CTS”) che è chiamata a verificare se il farmaco presenti caratteristiche idonee a ritenerlo come “essenziale”; una seconda fase che contempla lo svolgimento di una negoziazione sul prezzo tra il CPR dell’AIFA e l’Azienda titolare dell’AIC, dal cui esito dipende l’effettiva rimborsabilità della specialità medicinale. La deliberazione citata è infatti perentoria nello stabilire che “Nel caso in cui non si raggiunga un accordo sul prezzo, il prodotto verrà classificato nella fascia C di cui al comma 10, dell’art. 8, della legge del 24 dicembre 1993, n. 537”.

4. Il diritto positivo fa dunque emergere – ad avviso del Collegio – un quadro in cui l’inserimento dei farmaci in fascia A appare unicamente finalizzato a garantire il diritto degli utenti del SSN a fruire di terapie farmacologiche gratuite, quando esse siano “essenziali” o riguardino malattie croniche, contemperandolo con la facoltà dello Stato di adottare misure economiche indirizzate al controllo della spesa farmaceutica, al fine di garantire il pareggio di bilancio, ora dotato di fondamento costituzionale.

Nessun[a] posizione giuridica protetta quale “diritto” si rinviene in capo alle imprese farmaceutiche interessate all’inserimento dei propri prodotti in classe A.

4.1. Potendo tuttavia, tale inserimento, comportare potenziali vantaggi per le imprese i cui farmaci sono stati inseriti in fascia o, specularmente, svantaggi, nel caso in cui non lo siano, non può seriamente dubitarsi che le imprese farmaceutiche istanti abbiano un interesse legittimo pretensivo alla corretta e ragionevole applicazione delle norme citate. Il bene della vita sottostante a tale posizione giuridica pretensiva è, a ben vedere, quello relativo alla possibilità di accedere ad un mercato in cui il farmaco può essere acquistato anche da soggetti privi di capacità reddituale sufficiente, sempre che sussista la patologia indicata.

4.2. Non si tratta di un mercato concorrenziale. Una volta inserito in fascia A, il farmaco entra in un circuito commerciale in cui le modalità di determinazione della domanda sono fortemente condizionate dal ruolo dell’intervento pubblico. Segnatamente, le politiche regolatorie, nell’esonerare gli utenti dal pagamento del prezzo, fanno della “domanda” una variabile indipendente da altri fattori economici, legata unicamente al bisogno del farmaco rispetto alla patologia, secondo la valutazione che ne fa il medico prescrittore.

La stessa Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che “il comparto dei farmaci di fascia “A”, contraddistinto da penetranti poteri di regolazione e di intervento del Ministero della salute, nella determinazione del prezzo ed anche dei margini di utile lungo l’intera filiera (produttore, grossista, farmacista), non costituisce un mercato concorrenziale. In particolare, almeno quanto al prezzo, si tratta di prodotti che non danno luogo a confronto competitivo” (così, Corte cost., 7 luglio 2006, n. 279).

4.3. L’interesse pretensivo dell’impresa farmaceutica non può quindi essere quello alla leale competizione in un mercato concorrenziale, ma è piuttosto quello di fruire di chance di extra guadagno connesse alla particolare regolazione del “mercato” dei farmaci di fascia A. E non è un caso che a tale aspettativa di guadagno l’ordinamento riconnette un obbligatorio procedimento di negoziazione del prezzo, pena il “declassamento” in fascia C.

4.4. La chance di guadagno, id est il bene della vita cui l’impresa aspira, è sicuramente tutelabile attraverso l’azione demolitoria, da sempre presidio indefettibile dell’interesse legittimo. È tuttavia da chiedersi se il diritto positivo giunga fino a considerare tale interesse lucrativo – id est quello a fruire di un mercato in cui la domanda non è influenzata dal prezzo – quale bene meritevole di protezione anche risarcitoria alla stregua dell’ordinamento positivo.

5. Il Collegio ritiene che a tale domanda debba darsi risposta tendenzialmente positiva, nei limiti però in cui l’interesse non trasmodi in una speculazione in danno degli stessi interessi pubblici che ispirano la legislazione sopra esaminata e che si traducono nell’esigenza che il farmaco sia dal punto di vista tecnico scientifico, “essenziale” o comunque curativo di patologie croniche, e nella condizione che l’impresa farmaceutica sia disposta a negoziarne il prezzo.

5.1. Ciò perché l’extra guadagno (il bene della vita, appunto) non è – come ad es. nel caso delle procedure di evidenza pubblica – un risultato cui le procedure di legge sono strumentali, quanto, piuttosto, l’effetto di un accollo del debito che lo Stato assume nell’interesse esclusivo degli utenti e nel rispetto dei vincoli di bilancio. Solo ove questi interessi pubblici prevalenti risultino violati, l’interesse patrimoniale “riflesso” dell’impresa, a lucrare delle chance offerte dall’anomalo mercato creatosi, può considerarsi meritevole di protezione risarcitoria.

In difetto, il principio di concorrenza, e quello di non discriminazione che ne costituisce il corollario, se può valere per ottenere l’annullamento del provvedimento produttivo di disparità di trattamento, non può certo essere invocato per ottenere la compensazione economica di chance economiche perdute; salva l’ipotesi di dolo, ossia di comportamento dell’amministrazione scientemente preordinato a cagionare all’impresa farmaceutica un pregiudizio patrimoniale.

6. Ricostruito il quadro dei principi, può ora esaminarsi il caso di specie.

6.1. Come anticipato, il Consiglio di Stato, nel parere dato ai fini della decisione del ricorso straordinario avverso la decisione della CTS circa la non essenzialità della confezione da sei del farmaco in contestazione, ha ravvisato nell’atto impugnato “il vizio di eccesso di potere per manifesta contraddittorietà e per incongruenza con analoghe scelte dell’amministrazione, l’effetto delle quali potrebbe porre a rischio il principio della libera concorrenza a vantaggio dell’impresa farmaceutica autorizzata a mettere in commercio con rimborso confezioni da sei compresse”, aggiungendo che la decisione non implica “alcun obbligo ad autorizzare la confezione da sei compresse per le specialità in esame, ma solo che sono necessari e dovuti ulteriori provvedimenti dell’amministrazione al fine di vagliare le eventuali incongruenze e, conseguentemente, di depennare tutte le specie di confezioni da sei per i farmaci in questione ovvero di autorizzarle per tutte le specialità sostanzialmente equivalenti”.

6.2. In sostanza ciò che il Consiglio di Stato ha fatto, è stato fornire tutela demolitoria all’interesse alla corretta esplicazione del principio di non discriminazione, attraverso l’affermazione di un obbligo di pari trattamento di situazione sostanzialmente analoghe sganciato da qualsivoglia accertamento in ordine alla “essenzialità” del farmaco ed alla correttezza tecnico scientifica della valutazione della CTS, tant’è che ha sentito la necessità di aggiungere che la soluzione potrebbe essere indifferentemente quella di “depennare tutte le specie di confezioni da sei per i farmaci in questione ovvero di autorizzarle per tutte le specialità sostanzialmente equivalenti”.

6.3. Non solo. La CTS, anche a seguito dell’approfondimento istruttorio suggerito dal parere, ha nuovamente confermato la “non essenzialità” della confezione da sei, poiché eccedente le ordinarie necessità terapeutiche dell’emicrania, non ravvisando, nemmeno res melius perpensa, la sussistenza di un interesse degli utenti alla rimborsabilità di siffatto confezionamento.

Del resto, come efficacemente sottolineato dall’Avvocatura in difesa di AIFA, gli utenti che avessero necessitato di una terapia prolungata oltre le tre compresse, ben avrebbero potuto ottenere due confezioni da tre, sempre se prescritte dal medico, senza comunque corrisponderne il prezzo.

Se così è, non è accettabile che, pur in mancanza del requisito dell’essenzialità, in assenza di un effettivo interesse degli utenti, e a detrimento del budget di spesa pubblica farmaceutica, si possa dare protezione risarcitoria all’interesse meramente speculativo dell’impresa farmaceutica a lucrare, come altri hanno fatto, grazie all’inserimento in fascia A.

6.4. Il provvedimento di AIFA, che nella sua discrezionalità residua ha ritenuto – disattendendo il parere della CTS – di dare esecuzione al dictum decisorio in punto di pari trattamento, optando per l’estensione ad Admirall del “beneficio” concesso ad altra impresa concorrente in relazione a farmaci assimilabili, se vale a ripristinare la legittimità attraverso l’eliminazione del vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento, non può valere a sostanziare un illecito aquiliano, difettando, in data antecedente al provvedimento, un bene della vita che sia meritevole di protezione alla stregua del diritto positivo.

7. Quanto sopra vale ad accogliere il primo e parte del secondo motivo d’appello.

8. Ferma la natura assorbente di quanto sopra osservato, è parimenti fondata la seconda parte del secondo motivo d’appello, in cui è dedotta la carenza del nesso di causalità in ragione del mancato esperimento della fase della negoziazione.

8.1. Come sostenuto dall’Avvocatura, il decreto che ha deciso il ricorso straordinario aveva ad oggetto unicamente il parere negativo della CTS. L’annullamento del parere non toglie la necessità della negoziazione sul prezzo e l’alea che la connota. Trattasi di un passaggio indefettibile in cui è verificata la disponibilità del produttore a ridurre il prezzo secondo le proposte di AIFA, la cui mancanza incrina il requisito di “certezza” della spettanza del bene della vita, necessario ai fini del ristoro economico per equivalente. In sostanza, in difetto del compimento di entrambe le fasi del procedimento non può sostenersi che le esigenze di pari trattamento, ove tempestivamente valorizzate da AIFA, avrebbero certamente condotto ad un accordo sul prezzo, ed al conseguente pronto inserimento della confezione da sei in fascia A.

8.2. Né può considerarsi risolutiva la decisione finale di AIFA di riclassificare la confezione da sei a prezzo doppio rispetto alla confezione da tre, poiché – come del resto anche sottolineato dall’Avvocatura – sulla negoziazione da ultimo effettuata fra le parti, e a monte, sulla reciproca forza contrattuale, potrebbe aver inciso il tenore e l’efficacia del decreto decisorio.

9. In conclusione, l’appello dev’essere accolto. Per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, il ricorso introduttivo dev’essere respinto.

10. Avuto riguardo alla novità ed alle peculiarità della questione, appare equo compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso introduttivo del primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

eius – 16/01/2018

Redazione Fedaisf

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