Dovrebbe garantire ai Paesi Ue risparmi sulla spesa farmaceutica tra 1,6 e 3,1 miliardi di euro la proposta di deroga alla copertura brevettuale cui sta lavorando l’Unione europea per consentirebbe alle aziende genericiste di produrre ed esportare medicinali ancora sotto protezione nei mercati dove il brevetto è già scaduto o non è in vigore. Questa almeno è la stima fornita dallo studio condotto dalla società di analisi Charles River Associates, che calcola in 7,7-9,5 miliardi di euro l’incremento cui è atteso entro il 2025 il giro d’affari complessivo del comparto farmaceutico.
A riferire le previsioni un comunicato diffuso ieri da Assogenerici, che fa il punto sul cantiere avviato da Bruxelles: dal 12 ottobre, in particolare, è aperta una consultazione pubblica (conclusione 4 gennaio) per consentire a tutti i soggetti interessati di esprimersi su due proposte, quella che introdurrebbe a livello europeo un unico Spc (Certificato di protezione supplementare, che aggiunge altri cinque anni di validità ai brevetti ventennali del comparto farmaceutico) e quella sulla cosiddetta Bolar clause, ossia una deroga alla tutela brevettuale a scopo di ricerca (per consentire ai genericisti di effettuare prove di bioequivalenza prima della scadenza brevettuale sul principio attivo).
All’origine di tale consultazione c’è la “Single Market Strategy”, il documento pubblicato un anno fa dalla Commissione Ue per proporre «misure destinate a migliorare il sistema dei brevetti in Europa, in particolare per le industrie farmaceutiche e le altre industrie i cui prodotti sono soggetti a autorizzazioni di mercato regolamentate». Tra le novità ipotizzate per il pharma, appunto, l’istituzione di un certificato Spc unico europeo e l’estensione della deroga alla tutela brevettuale per fini di ricerca.
Le due misure, sottolinea Assogenerici, sono propedeutiche all’introduzione del Spc manufacturing weaver, da tempo sollecitato dai produttori di generici: si tratta in sostanza dell’autorizzazione a produrre medicinali ancora protetti dal Spc ma soltanto per l’esportazione nei Paesi dove il brevetto non esiste o la tutela complementare è già scaduta. Secondo lo studio della Cra reso pubblico nei giorni scorsi dalla Commissione Ue, l’estensione della “Bolar clause” determinerebbe per le imprese produttrici risparmi sui costi aziendali (per esempio spese legali) tra i 23 e i 34,2 milioni di euro l’anno; la combinazione tra Spc export weaver ed estensione della “Bolar clause” determinerebbe una crescita del giro d’affari dei produttori di principi attivi farmaceutici europei tra i 211,8 e i 254,3 milioni entro il 2030 (+2 milioni di posti di lavoro); l’introduzione del Spc export weaver si tradurrebbe invece in un aumento delle vendite nette dell’industria farmaceutica europea da 7,3 a 9,5 miliardi di euro entro il 2025 e nella creazione di almeno 20-25mila nuovi posti di lavoro nel comparto farmaceutico; la stessa misura determinerebbe un aumento delle esportazioni farmaceutiche dall’Europa compreso tra il 6% e il 18%, mentre la concorrenza indotta da tutte le precedenti misure garantirebbe risparmi sulla spesa farmaceutica europea compresi tra 1,6 e 3,1 miliardi.
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E.U. The Single Market Strategy
Assogenerici. L’Europa apre il cantiere delle deroghe all’SPC protection