“Stringere le maglie della proprietà intellettuale potrebbe lasciare senza farmaci milioni di persone”. “La necessità di garantire la qualità, la globalizzazione, l’abbassamento dei prezzi: tutto rema verso la carenza sistematica”. Non importa che si viva in un Paese in via di sviluppo o negli opulenti Stati Uniti. Abituiamoci a un mondo in cui la temporanea carenza di farmaci può riguardare tutti e colpire quando se ne ha più bisogno.
Antonino Michienzi,
In questi giorni in Egitto molti malati di cancro muoiono contorcendosi tra indicibili sofferenze. In tutto il Paese manca la morfina. Ci sono fentanil, idromorfone, ossicodone, ma la morfina no. E i medicinali disponibili «costano molto di più e molti pazienti con cancro in Egitto non possono permetterseli», raccontano sul bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Samy Alsirafya e Dina Faraga, due medici dell’ospedale universitario del Cairo.
«Per più di vent’anni, l’unica morfina orale registrata in Egitto è stata una formulazione a lento rilascio, prodotta su licenza di un unico fornitore nel Regno Unito, confezionata da un’azienda egiziana, distribuita da una società del Governo alle farmacie che poi la dispensavano. Per ragioni sconosciute, sul finire del 2014, la morfina in formulazione orale è diventata introvabile».
In Venezuela si è arrivato a uccidere per i farmaci. A Caracas a metà gennaio, un gelataio ventiduenne è stato accoltellato da tre assalitori che volevano rubargli i medicinali che aveva appena preso in farmacia. Il Paese sudamericano è al collasso: da almeno due anni la penuria di medicinali si è andata aggravando fino a rendere oggi la situazione insostenibile. Lo scorso anno si pensò di poter risolvere la situazione prevedendo il razionamento dei medicinali: ogni cittadino si sarebbe dovuto registrare con le impronte digitali presso una farmacia di riferimento; questa poi avrebbe dispensato una quantità limitata di farmaci. La ricetta non ha funzionato: l’unico effetto è stato alimentare il mercato nero; ma oggi anche quello non ha più linfa.
Secondo la Federación Farmacéutica Venezolana, infatti, in alcune aree del Paese manca l’80 per cento dei medicinali: «È una crisi umanitaria: i pazienti stanno morendo per la mancanza di medicine», va ripetendo da settimane il presidente dell’associazione Freddy Ceballos. «È necessario attivare tutti i meccanismi di assistenza sanitaria internazionale per risolvere questa crisi il più presto possibile».
Ma per il momento il Governo di Nicolás Maduro fa orecchie da mercante.
Una situazione analoga a quella del Venezuela potrebbe presto crearsi in Nigeria, dove l’associazione locale degli industriali farmaceutici ha avvertito che la carenza persistente di valuta estera sta impedendo ai produttori di rifornirsi di materie prime rendendo impossibile la produzione di farmaci. Senza interventi il Paese non avrà medicine con cui curarsi.
A secco di farmaci sono anche gli ospedali pubblici dello Zimbabwe: in molti di essi i medici accompagnano il paziente fino alla diagnosi, ma se vogliono la terapia devono mettere mano al portafoglio. Il Governo accumula debito con l’azienda farmaceutica pubblica dal 2009 e ora, dopo anni di melina, la situazione è allo stallo: l’azienda ha i magazzini vuoti, le linee produttive sono ferme da mesi. Gli 800 mila dollari promessi dal Governo di Robert Mugabe coprono una briciola dei 25 milioni di debito e non saranno sufficienti a far ripartire la macchina dell’industria.
Eccezione permanente
Cronache da un mondo dove la disponibilità a spendere fino a decine di migliaia di dollari per un singolo farmaco fa il paio con l’impossibilità di avere a disposizione pillole salvavita che costano pochi spiccioli.
In cui la carenza di farmaci, strutturale o occasionale, è diventata una variabile con cui fare quotidianamente i conti. Non solo per i Paesi a basso reddito, ma anche per i giganti.
Secondo un’indagine pubblicata sulla rivista Academic Emergency Medicine, dal 2008 le carenze di farmaci nei Pronto soccorso americani sono quadruplicate. La metà delle carenze riguarda farmaci salvavita e in un caso su dieci non ci sono sostituti disponibili.
Nei giorni scorsi è finito sul New York Times ciò che sta avvenendo alla Cleveland Clinic, il più importante centro cardiologico americano: manca un antiemorragico, l’acido aminocaproico. «Lavoriamo in stile militare», ha raccontato al quotidiano il chirurgo Brian Fitzsimons. Un modo per dire che il farmaco viene dato soltanto a chi è a elevatissimo rischio di emorragia. Con gli altri si corre il rischio sperando che vada tutto bene.
Tanto è diventato frequente lavorare in condizioni di carenza, che un gruppo di pediatri specializzati in oncologia ha pubblicato nei giorni scorsi sulle pagine delJournal of the National Cancer Institute una guida per dare indicazioni su come gestire la situazione di carenza e per rispondere a una domanda semplice quanto tragica: come comportarsi se i farmaci non bastano per tutti i bambini che si hanno in cura?
«La guida supporta decisioni motivate a fronte di una carenza di farmaci e si propone di ridurre al minimo le distorsioni che potrebbero verificarsi quando singoli medici o istituti sono costretti a prendere decisioni difficili, e a volte tragiche, di fronte al razionamento dei farmaci per i bambini malati di cancro», scrivono gli autori.
La logica che adotta la guida è spietata quanto razionale: il farmaco va dato ha chi ha maggiori chance di sopravvivenza e a chi ne può trarre i maggiori vantaggi.
Per gli altri, purtroppo, c’è da accettare la dura realtà a cui ormai non eravamo più abituati: che sebbene viviamo in un mercato farmaceutico sempre più ricco, alcuni farmaci a volte possono non essere disponibili.
Troppe falle nel sistema
Spesso ciò è dovuto a circostanze contingenti. Scelte politiche o condizioni economiche sono talvolta la ragione che sta dietro all’impossibilità di fornire medicinali ai cittadini.
A volte sono eventi del tutto occasionali: nel 2010 gli Stati Uniti furono investiti da una carenza di farmaci senza precedenti. A mancare erano soprattutto farmaci generici in fiale. Più di 200 prodotti erano diventati introvabili: farmaci contro il cancro, anestetici, medicinali per le patologie reumatiche. Si calcolò che l’80 per cento dei generici iniettabili non erano disponibili.
«Se sei un oncologo pediatra sai che puoi curare il 70-80 per cento dei pazienti. Ma senza questi farmaci non puoi fare nulla», ebbe a dire in quei giorni il presidente dell’American Society of Clinical Oncology, Michael Link.
Scese in campo anche il Congresso per comprendere cosa stesse succedendo e nell’indagine che ne seguì venne fuori che buona parte della colpa era nientemeno che della Food and Drug Administration, l’ente che vigila sui farmaci negli Usa.
Che era successo? Così lo spiega il report conclusivo del Congresso: «Tra il 2009 e il 2010, il numero di warning letters inviate dall’agenzia è cresciuto del 42 per cento. Tra il 2010 e il 2011 il loro numero aumentò di un ulteriore 156 per cento. In molti casi, le warning letters hanno prodotto il risultato di costringere le aziende a fermare le linee produttive per risolvere le contestazioni dell’Fda».
Il risultato fu che la produzione di quei medicinali scese del 30 per cento, un livello insufficiente per rispondere al fabbisogno di farmaci. Dei 219 medicinali che risultavano carenti, il 58 per cento proveniva da uno degli stabilimenti messi sotto inchiesta dell’Fda.
Le indagini dimostrarono che nessuno dei medicinali prodotti in quegli stabilimenti costituiva un problema di salute tale da richiedere un intervento così drastico come lo stop delle linee produttive.
Ma se quei farmaci invece fossero stati dannosi? Meglio lasciare sul mercato medicinali che possono costituire un pericolo per i pazienti o lasciare i malati senza farmaci?
È quello che l’Agenzia europea dei medicinali (Ema) in un documento sul tema definisce “The regulators’ dilemma”. La ricerca di una sempre maggiore qualità e sicurezza dei farmaci ha dei rischi e può finire per essere una delle possibili cause delle periodiche carenze di medicinali.
Non è però l’unica. Un ruolo importante è svolto per esempio dalla globalizzazione dei mercati: «Molti fornitori per medicinali salvavita – per esempio gli antibiotici – sono collocati fuori dall’Europa», spiega l’Ema, l’agenzia regolatori europea. «Alcuni sono in Paesi che hanno sistemi politici e regolatori incerti e che sono soggetti a disastri naturali».
Nel 2011, il terremoto e lo tsunami che devastarono il nord del Giappone diedero un assaggio di cosa significhi l’interdipendenza globale. Innumerevoli settori industriali dovettero fare i conti con la rottura della catena di approvvigionamento: dall’industria automobilistica a quella elettronica. E anche quella farmaceutica. Basta infatti che anche una piccola ruota dell’ingranaggio si inceppi per fermare la macchina. «L’impatto immediato sul nostro business fu una carenza di N,N’-metilen-bis-acrilammide, un ingrediente di [un gel per la purificazione delle proteine], che è usato in numerosi processi manifatturieri per i farmaci a uso umano», raccontano i manager di un’azienda svedese specializzata in sistemi e prodotti per la ricerca e la produzione farmacologica.
Così il battito d’ali di una farfalla in Estremo Oriente può svuotare gli scaffali delle farmacie a casa nostra o in un qualunque altro posto nel mondo. Sia esso un evento catastrofico, una variazione nella domanda di una sostanza chimica, un colpo di Stato.
A volte a incidere sulle difficoltà di accesso può essere invece il prezzo; troppo alto o paradossalmente troppo basso.
La diffusione su ampia scala dei generici, la presenza in alcuni Stati (per esempio gli Usa) di sistemi di acquisto centralizzati, le negoziazioni sul prezzo sempre più stringente da parte degli Stati a corto di risorse hanno contribuito ad abbassare drasticamente il prezzo di molti farmaci: ciò ha finito per disincentivare molte aziende a produrli rendendo così la loro disponibilità molto più sensibile alla capacità produttiva delle poche aziende rimaste sul mercato.
Quali che siano le cause, quel che è certo è che il problema ha ormai raggiunto dimensioni globali. L’Organizzazione mondiale della sanità – che ha già adottato nel maggio 2014 una risoluzione sul tema – ne ha discusso nuovamente in un meeting tenutosi lo scorso dicembre. Ne è uscito fuori un report che potrebbe essere la base di una nuova risoluzione da adottare nella prossima Assemblea mondiale della salute il prossimo maggio. La ricetta dell’Oms punta soprattutto a mettere a punto un sistema di intelligence globale che sappia prevedere e prevenire le possibili carenze e sopperire tempestivamente tramite stock di sicurezza quando si dovessero verificare.
Un nuovo pericolo
La soluzione, però, potrebbe non risolvere il problema.
Medici senza frontiere, pur apprezzando l’intervento proposto dall’Oms, si è detta preoccupata. «La sua portata dovrebbe essere ampliata per includere farmaci brevettati la cui carenza può essere causata da monopoli, così come tutti i farmaci essenziali, i vaccini e la diagnostica», ha detto Rohit Malpani, director of Policy & Analysis di Msf.
Ciò che più preoccupa l’associazione, poi, è l’evoluzione dei rapporti commerciali tra gli Stati. All’inizio di febbraio a Auckland, in Nuova Zelanda, i capi di Governo di dodici Paesi che si affacciano sulle due sponde del Pacifico hanno firmato uno dei trattati più imponenti della storia, la Trans-Pacific Partnership (TPP): un accordo commerciale che liberalizza gli scambi e gli investimenti tra Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti e Vietnam.
Il trattato regolamenta ogni aspetto delle relazioni commerciali tra Paesi. Soprattutto, però, fa notare Medici senza frontiere, riscrive le regole della proprietà intellettuale e dei brevetti: «Il TPP contiene severe disposizioni sulla proprietà intellettuale che allungano, rafforzano e ampliano i monopoli delle società farmaceutiche rispetto alla» dichiarazione di Doha. Quest’ultimo è un accorto firmato nella capitale del Qatar nel 2001, in seno alla World Trade Organization, che riconosceva una certa flessibilità nell’applicazione delle regole sulla proprietà intellettuale per consentire l’accesso ai farmaci essenziali.
Il timore è che l’accordo ora «costringa i Paesi a pagare prezzi eccessivi alle aziende farmaceutiche multinazionali per i medicinali brevettati», avverte Medici senza frontiere. «Il che minerà il diritto alla salute e gli sforzi nazionali per attuare l’assistenza sanitaria universale».
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