Frezza non tace sulla correlazione con chiusure di stabilimenti, massicce riduzioni di personale, conflitti di cultura, demotivazione dei dipendenti, perdita di brand equity nonché di talenti ed expertise. Edito da AboutBooks, il libro “Business, Scienza e Farmaci. L’industria del farmaco” di Leonardo Frezza descrive nero su bianco i principali eventi che hanno impattato sulla nascita e lo sviluppo e le tante transizioni attraversate dal mondo del pharma.
di Stefano Di Marzio – 3 agosto 2015 – ABOUTPHARMA
C’erano una volta Hoechst, Geigy e Burroughs Wellcome. C’erano pure Lepetit, Italseber e tante altre ancora, passando a casaccio per Bioindustria, Piam, Bruschettini e Maggioni. Centinaia le aziende, i laboratori e le storie – umane prima e industriali poi – di cui s’è smarrito il nome e con quello forse la memoria, passate nei decenni attraverso il frullatore di merger & acquisition e di un mercato ridisegnato dai big players. Che parli di speziali e piccole “apotheke”, dei primi vagiti ottocenteschi, delle consolidate realtà globali di oggi o delle biotech di domani, il libro “Business, Scienza e Farmaci. L’industria del farmaco” scritto da Leonardo Frezza, consulente direzionale di lungo corso, per i tipi di AboutBooks (188 pagine, 28 euro) coglie sempre l’attimo delle tante transizioni attraversate da un’industria che ha ormai duecento anni di vita.
L’ultima opera non è solo un’agile carrellata che dai primordi conduce dritta ai nuovi modelli di business. Articolato in quattro parti, di cui una interamente dedicata all’industria italiana, il libro fissa nero su bianco gli eventi che hanno maggiormente impattato sulla nascita e lo sviluppo del mondo pharma e sulle interrelazioni con la società e altri comparti industriali limitrofi. I vaccini, la “casuale” scoperta degli antibiotici, la nascita dei primi sistemi sanitari occidentali, gli eventi bellici che preparano la “Wonder Drug Era”, l’autarchia imposta dal Fascismo che in qualche modo preluderà a certi futuri comportamenti “imitativi” delle imprese italiane. In “Business, Scienza e Farmaci” c’è molto altro ancora, compresi apparenti episodi minori, come le intuizioni sul potere antimicrobico delle muffe da parte degli italiani, Cantari e Tiberio, ben prima che Fleming, Florey e Chain ci vincessero un Nobel, potendo anche contare sul robusto sostegno di Pfizer, Merck e Squibb.
C’è stata una lunga epoca in cui il mondo guardava con fiducia sconfinata ai progressi della chimica farmaceutica. Poi negli anni Sessanta il disastro Talidomide cambiò le cose e l’idillio si ruppe. “L’industria farmaceutica fu costretta a ripensarsi – spiega Frezza ad AboutPharma online – per i maggiori controlli e le norme che imposero di verificare la sicurezza dei prodotti. Fu un momento di cesura per le aziende immerse in un percorso che dura ancora oggi” (si afferma allora il potere di Fda, nonostante gli Usa non furono sfiorati dalla tragedia).
E adesso in che fase è l’industria farmaceutica mondiale? “Da una parte vive il passaggio indotto dalle biotecnologie e dai prodotti specialties che conducono alla medicina personalizzata. Dall’altra è condizionata dal fenomeno finanziario di merger & acquisition che porta alla concentrazione di big player e al cambiamento del business model”. Già le concentrazioni. Frezza non tace sulla correlazione con chiusure di stabilimenti, massicce riduzioni di personale, conflitti di cultura, demotivazione dei dipendenti, perdita di brand equity nonché di talenti ed expertise. Ma avverte: “Nelle concentrazioni non c’è perdita di conoscenza, che è conservata e accresciuta. Il cambiamento di business model ha semmai portato alla nascita di un’altra industria prevalentemente in outsourcing. Si pensi a quanto lavoro è andato alle Contract Manifacturing Organizations (Cmo) e quanta parte della ricerca clinica è andata alle Cro. L’organizzazione dell’industria pharma oggi è molto diversa. Know how, coordinamento strategico di R&D, controllo di technical operations/supply, focalizzazione sulle attività di marketing & sales nelle varie geografie, rimangono nell’organizzazione aziendale. Mentre in outsourcing ruota molto del mondo di ricerca e sviluppo, di produzione e di servizi”.
E la finanza? Sembra governare M&A e dettare alleanze. “Questo può riguardare le società quotate, che guardano al valore dell’azione: anche le fusioni vengono viste nell’ottica del valore generato per gli investitori. Nelle società biotech, invece, un’acquisizione si fa guardando prima alla pipeline, al valore del prodotto in sé”.
L’autore è particolarmente attivo nell’Executive Search attraverso Frezza & Partners Srl, con una specificità nel settore Healthcare. Proviene da esperienze associative e aziendali (Farmindustria, Recordati, Pfizer) e ha già scritto altri libri per Il Sole24 Ore: “Farmaci e Imprese” (1994), “Alla ricerca del Farmaco” (1997), “Industria Farmaceutica e Management” (2005), “Carriere” (2008), “Storie di Biotech“ (2011).
Il libro è in vendita a questo link e nelle principali librerie online