L’attenzione che la «medicina narrativa» ha conquistato negli ultimi anni, anche in Italia (forse più tra i non addetti ai lavori che tra i medici), non deve essere letta in alternativa alla medicina basata sulle prove di efficacia: non si tratta di un conflitto tra sigle, «Nbm» contro «Ebm», l’ennesimo confronto in un Paese che si riconosce nelle fazioni da campanile. Ecco qualche dato.
In Italia la visita con chi ancora in molti indicano come il «medico di famiglia» dura nove minuti. Non si tratta di cattive abitudini e tantomeno di colpevole disattenzione: ognuno dei pazienti che affollano la sala d’aspetto di un massimalista amerebbe poter contare sulla concentrata attenzione del suo medico per almeno 20-30 minuti. Sennonché l’ora e mezza di attesa che patisce per ognuno dei nove minuti moltiplicati i 10 pazienti che sono arrivati prima di lui diventerebbero invece 300: cinque ore. Impensabile!
Racconto interrotto
D’altra parte sono diverse le ricerche – raccolte in un volume a cura di Alfredo Zuppiroli («Le trame della cura», Bulgarini Editore) – dalle quali si evince che quasi mai il paziente ha tempo di raccontare al medico perché si è recato nello studio, esponendo le ragioni che si era diligentemente organizzato a casa. Ed è documentata l’abitudine per cui il medico interviene a interrompere il racconto del paziente in media 16 secondi dopo il suo inizio, così che meno del 2% dei pazienti riesce a riprendere e a completare il discorso che aveva in mente dopo essere stato interrotto. Questa cattiva abitudine, ma per molti medici – come scrivevamo obbligata dalla contingenza di guidare il colloquio piuttosto che predisporsi all’ascolto, porta con sé la perdita di molte informazioni utili, sia al momento della diagnosi sia del trattamento e della conseguente prognosi.
Da almeno 20 anni, su questi temi, si concentra la ricerca del gruppo di Psicologia Clinica dell’Ospedale San Paolo di Milano, ora guidato da Elena Vegni ma che ha avuto in Egidio Moja la sua guida ispiratrice – in Italia, e non solo, un vero precursore -, organizzando il lavoro dell’équipe in modo da suggerire come usare al meglio i nove minuti della visita, focalizzando l’attenzione del medico sul paziente invece che sulla malattia e suggerendo strategie per coniugare gli ineludibili vincoli dell’organizzazione sanitaria con i reali bisogni dei malati. E interessante sarà seguire l’esperimento che si terrà a Bologna, nell’ambito della prossima e prima edizione del «Festival della Scienza Medica» (www.bolognamedicina.it) in un curioso formato dal titolo «Visita in corsia»: veri letti d’ospedale piazzati a Palazzo Re Enzo, falsi malati (alcuni studenti della Facoltà di Medicina a recitare la cartella clinica di loro stessi) e il pubblico che segue alcuni «primari», incontrando la stessa patologia ma in epoche storiche diverse: un’emorragia uterina, un ittero, una patologia ortopedica, a inizio Novecento, negli Anni 60, negli Anni 90 e oggi! Comprendere la storia e l’evoluzione delle diagnosi e dei trattamenti medici ricordando, appunto, come il medico visitava i pazienti quando non disponeva di quasi nessuno degli attuali e straordinari presidi diagnostici e la guarigione si basava sull’ascolto, sulle conoscenze e la conseguente e geniale intuizione clinica.
Svolta narrativa
Se poi per «medicina narrativa» si può intendere anche ciò che accadeva seguendo le puntate di «House» o, più recentemente di «The Knick», laddove si comprende quanto l’accuratezza filologica e la documentazione storica siano condizioni tutt’altro che secondarie per la conquista del grande pubblico della televisione; se può significare anche rileggere alcune pagine di Cechov, di Cronin, di Bulgakov, di Céline, di Oliver Sacks – come farà Massimo Popolizio, sempre a Bologna, il prossimo 8 maggio – ovvero di quei medici che hanno deciso di diventare scrittori… beh! allora ci apparirà forse più chiaro quanta strada si è percorsa, già solo a far data dalla fine dell’Ottocento, e come non si dovrebbe dare per scontato il gigantesco e impetuoso progresso della scienza medica dell’ultimo secolo.
PINO DONGHI UNIVERSITÀ LA SAPIENZA – ROMA – 29/04/2015 – LA STAMPA TUTTOSCIENZE