di Paola Marzorati | Pubblicato il 21 Maggio 2013 | Galileo
Più di cento esperti in ematologia hanno di recente sostenuto in un editoriale pubblicato su Blood, la rivista dell’American Society of Hematology, che il prezzo troppo alto dei farmaci per il trattamento della leucemia mieloide cronica (Lmc) metta a rischio l’accessibilità alle cure di una fascia di pazienti e la loro sostenibilità economica per i sistemi sanitari nazionali.
Quando la Novartis ha lanciato nel 2001 l’innovativo farmaco Gleevec, il capostipite degli inibitori della tirosina chinasi (tyrosyne kinase inhibitors, Tki), il suo costo era di 30mila dollari l’anno. Oggi è salito a 92mila dollari. Tki di seconda e terza generazione costano oltre 100mila dollari l’anno. Cos’è successo in questi dieci anni?
Gleevec, è stato il primo farmaco razionalmente progettato a partire dall’alterazione genetica che causa la malattia, ha quindi un meccanismo d’azione estremamente mirato. Il suo successo terapeutico è stato tale da rendere la Lmc simile a una malattia cronica come il diabete o l’ipertensione. Ha ridato la speranza di una vita normale a migliaia di malati, meritando anche la copertina di Time.
Secondo il gruppo di ematologi, questo successo ha però permesso alla Novartis di dettare le regole che hanno portato i prezzi dei farmaci oncologici a livelli inaccettabili. L’azienda ha immediatamente replicato all’articolo sottolineando il suo impegno a fornire il farmaco a oltre 50mila pazienti in 80 Paesi a basso reddito e il costante investimento nella ricerca di cure innovative per il cancro.
Negli Stati Uniti, dove i pazienti possono arrivare a coprire economicamente oltre il 20% della cura, la sostenibilità dei costi può essere una questione di vita o di morte, come dimostrano gli appelli dei firmatari di una petizione che chiede riduzione dei prezzi del farmaco. Lo scorso primo aprile, la corte suprema indiana ha rigettato il ricorso della Novartis contro il rifiuto di