RISTRUTTURAZIONI aziendali, cali di produzione, crisi permanenti, cessazione di attività o di ramo d’azienda, fallimento e liquidazione, concordato preventivo, disdetta di ordinie commissioni, mobilità con esternalizzazioni. Sono molte le motivazioni che il sindacato ascolta dalle imprese in corso di trattativa. Le conseguenze: cassa integrazione ordinaria e straordinaria, licenziamenti. Fra Milano e provincia sono cinquemila i posti a rischio alla ripresa dell’attività in settembre, secondo la valutazione del segretario della Camera del lavoro, Onorio Rosati. E si parla di situazioni maturate se non quest’estate, almeno negli ultimi mesi, senza risalire alla notte dei tempi come l’Alfa di Arese, dove gli ultimi 120 operai attendono, dopo numerose proroghe della cassa, di conoscere il loro destino.
In alcuni casi è un intero settore a soffrire. Marvecs e X-Pharma vogliono liberarsi di tutti i loro occupati, rispettivamente 900 e 376. Si tratta di informatori, persone che visitano i medici per propagandare i farmaci della casa. Abituati a stipendi fra i 40mila e i 60mila euro lordi l’anno, devono restituire auto di servizio, computer, cellulare. Piergiorgio Tagliabue, segretario generale della Femca Cisl, spiega: «Scontano due cose. I continui tagli dei prezzi dei farmaci, attuati peraltro comprensibilmente dal governo. E il fatto che non ci sono nuovi brevetti, legato al precedente perché c’è meno convenienza». In estate la Marvex ha cassintegrato 400 persone, 200 sono già usciti con gli incentivi «ma rischia lo stesso il fallimento», insiste Tagliabue.
Quanto alla X-Pharma, la proprietà tedesca vuole mettere fine all’attività della filiale milanese al 1° settembre.
«Ci sono contatti con soggetti interessati a rilevarla – dice Claudio Bettoni, segretario dei chimici della Cgil – ma il rilancio passa da un piano industriale credibile». Solo all’inizio dell’anno, infatti, X-Pharma assumeva dall’altra tedesca Merck un centinaio di informatori.
Situazione critica pure all’Eutelia, che ha un migliaio di dipendenti a Pregnana Milanese e ha chiesto per 400 la cassa integrazione straordinaria. Il sindacato ha tamponato con i contratti di solidarietà (meno ore di lavoro e meno salario per tutti), «ma il futuro rimane denso di incognite», dice Andrea Bellisai della segreteria cittadina Fim Cisl: «Occorre valutare un quadro generale nel quale cresce la richiesta di cassa da parte delle imprese con meno di 50 addetti e un colosso come Siemens annuncia 17mila licenziamenti a livello mondiale.
Verso metà settembre dovremmo avere le idee più chiare anche a Milano». Per ora la stima è prudenziale, ma solo per i grandi numeri in gioco: «Da noi Siemens ha migliaia di occupati, dopo diversi scorpori vanno un po’ rifatti i conti ma potrebbero essere tremila», osserva Bellisai. Rimanendo ai metalmeccanici, Innse vuole chiudere lo stabilimento in via Rubattino con 50 operai. Maria Sciancati, segretaria milanese della Fiom Cgil, dice: «Il 2 settembre siamo convocati al ministero dello Sviluppo economico, sperando in un compratore». Che potrebbe venire da Brescia, dove servono le grandi presse prodotte a Lambrate.
Tempi difficili per la Jakob Muller (macchine per le mense), che ha messo in mobilità 62 dipendenti su 104.
Nel settore chimico soffrono le aziende medie e piccole del comparto gomma e plastica. Problemi analoghi nel commercio, dove c’è pure un esempio eclatante. L’Auchan di Cinisello, al centro di polemiche anni fa per un ampliamento sgradito ai residenti, lascia a casa 100 degli 800 dipendenti. Non sono licenziamenti, ma mancati rinnovi di contratti a tempo determinato. «E dunque – spiega Luigino Pezzuolo, segretario milanese di categoria della Cisl – non sono conteggiati fra i posti a rischi
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