Il 20 maggio 1970 è la data di nascita dello Statuto dei lavoratori. Il 20 maggio del 1970 infatti la Legge 300
Lo Statuto dei lavoratori (sei titoli, che vanno dalla tutela della salute dei lavoratori al diritto di costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, dal diritto di svolgere assemblee e di indire referendum alla limitazione dei controlli e delle intrusioni nella privacy dei lavoratori – fino a quel momento le perquisizioni corporali in uscita dalla fabbrica erano episodi comuni, soprattutto nei confronti delle donne) formalizzerà, sul piano giuridico, una serie di conquiste ottenute dai lavoratori nel rapporto di lavoro.
Con la legge 300 in particolare, viene introdotto l’articolo 18 che sancisce la giusta causa nel licenziamento individuale e che attribuisce all’imprenditore l’onere della prova di fronte al giudice, impone – per le aziende con più di quindici dipendenti – l’obbligo di reintegro nel caso di licenziamento giudicato illegittimo.
Nel 2015 viene approvato il cosiddetto “Jobs Act” che introduce il contratto e tempo indeterminato a tutele crescenti e nuovi ammortizzatori sociali. A partire da marzo 2015, quindi, le aziende possono assumere con i nuovi contratti a tempo indeterminato. Con le tutele crescenti il reintegro è previsto solo nel caso di
Tra gli obiettivi del Jobs Act, poi, c’era anche il voler arginare il fenomeno delle false partite Iva. È sotto gli occhi di tutti che l’uso delle false partite Iva non si è mai fermato. Lo constatiamo anche nel mondo degli informatori scientifici dove le partite IVA sono tantissime (false partite IVA, ovviamente), probabilmente la maggioranza, ma non esistono dati ufficiali.
La logica di ridurre le tutele ai garantiti, anziché allargarle ai non garantiti, ha prodotto una precarietà senza precedenti nella storia d’Italia e senza paragoni nell’Europa industrializzata.
L’ISTAT, nel suo rapporto annuale (versione integrale), afferma che la quota di lavoratori con basse retribuzioni annuali permane ampia, prevalentemente in associazione con la ridotta intensità lavorativa e con la durata dei contratti: fenomeni, questi, che riguardano maggiormente le donne, i giovani e gli stranieri. l’Italia, dice sempre l’ISTAT, conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica.
Tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5 per cento mentre nelle altre maggiori economie dell’Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1 per cento della Francia e il 5,7 per cento della Germania. Secondo i dati dell’Indagine ISTAT sul reddito e le condizioni di vita (Eu-Silc) nel 2022 la quota di occupati a rischio di povertà in Italia è all’11,5 per cento, nell’Ue27 è l’8,5 per cento del totale. Colpa del Jobs Act? Ognuno giudichi in base alla propria convinzione. Noi abbiamo riportato lo stato dei fatti e un dato oggettivo come il rapporto ISTAT.
La posizione della CISL Sbarra: “Piuttosto che demolire il Jobs act, per poi promuovere non si sa quale modello novecentesco, occorre pensare a migliorare e rafforzare le tante cose buone di quella riforma e correggere le carenze con altri provvedimenti, innovando i centri per l’impiego”. Il Jobs Act una grande riforma
La posizione della CGIL. Landini: “Il Jobs Act ha diviso le persone, va abrogato”. È possibile firmare anche online dal sito Cgil.it.
La posizione della UIL: Il referendum per la UIL non serve. Serve una mobilitazione e una discussione con i governi e la politica
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